Il 16° presidente degli Stati Uniti fu Abraham Lincoln: a Washington, la capitale dello Stato, gli è stato dedicato un candido monumento neoclassico che assomiglia ad un piccolo tempio greco, il simbolo della democrazia americana, al centro del quale il Presidente siede assorto, effigiato in una grande statua di bronzo: il Lincoln Memorial. Di fronte, il grande specchio d’acqua, in fondo al quale sorge l’obelisco dedicato al primo presidente, il Washington Memorial.Lì, Martin Luther King pronunciò, di fronte ad una folla sterminata, il suo celebre "I have a dream" . Una capitale monumentale, come è monumentale il film che Steven Spielberg ha dedicato a questo grande uomo che ha saputo precorrere i tempi, battendosi strenuamente per l’abolizione della schiavitù in America e per questo colpito a morte in un teatro, pochi giorni dopo la fine della guerra civile e della votazione dell’emendamento alla Costituzione che metteva definitivamente fine alla schiavitù dei neri americani, a quel tempo oltre quattro milioni di persone.
Spielberg costruisce un grande film, girato prevalentemente in interni bui: la Casa Bianca, la stanza da letto dei coniugi, Abraham e sua moglie Mary, le sale del Gabinetto presidenziale, l’aula del Congresso: niente scene di massa, solo accenni alla sanguinosa guerra di Secessione e ai suoi oltre 600 mila morti, il film racconta la vicenda privata, i tormenti, il rapporto coniugale con la difficile Mary, con il Segretario di Stato, con i collaboratori, con i figli, con il dolore insopportabile per il figlio morto e la paura di perdere il primogenito che vuole arruolarsi, ma soprattutto con la sua decisione irrevocabile: deve abolire la schiavitù, a qualunque costo, pagando qualunque prezzo.
Obbligherà i suoi fedeli e i suoi nemici politici a venire a patti con lui: si tratta del futuro della democrazia, dell’esistenza stessa dell’Unione, nata dalla dissidenza con la madrepatria inglese ed ora a rischio: il mondo sta guardando un paese che si dice democratico ma che nel diciannovesimo secolo ancora tiene in schiavitù milioni di individui, venduti e comprati al mercato degli schiavi per tenere viva la proprietà fondiaria dei proprietari del sud: le piantagioni di cotone non possono che essere coltivate dagli uomini in catene che ne assicurano la sopravvivenza.
Il film è interpretato in modo magistrale da Daniel Day-Lewis, che presta al pubblico i primi piani di un volto devastato dall’ansia di non riuscire nel suo arduo obiettivo, un volto invecchiato precocemente, malgrado il tentativo di stemperare con ironiche e spiritose storielle il clima incandescente che precede il voto del gennaio 1865, che finalmente, sul filo dei voti, molti dei quali comprati, darà alla democrazia americana piena dignità e un posto nella storia al Presidente Lincoln.
La cavalcata solitaria in mezzo ai cadaveri dei suoi concittadini, la visita all’ospedale dove giacciono i giovani amputati in battaglia, il rapporto conflittuale con la moglie Mary, sono altrettante belle pagine di cinema che il grande regista ha saputo offrirci, emozionandoci e raccontandoci con intelligenza una lezione di storia che tutti noi occidentali dovremmo tenere a mente, specialmente in tempi di nuove intolleranze e striscianti forme di razzismo.
Elisabetta Bolondi
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