Little Cairo è il nome che lo scrittore algerino (ormai romano di adozione) Amara Lakhous ha dato a quel pezzo di Roma, tra piazzale della Radio, viale Marconi, piazza Meucci e dintorni, dove vivono numerosissimi immigrati nordafricani di religione islamica che lì hanno ricreato una comunità etnico-religiosa che vive con regole, modalità relazionali e costumi che in parte si integrano con le abitudini romane, in parte invece se ne distanziano nettamente. Lo scrittore, già noto ai lettori italiani per il delizioso “Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio”, inventa qui una spy story ironica, che ha per protagonisti personaggi davvero riusciti: ecco dunque che sulla divertente copertina del libro compaiono ritratti dalla nota illustratrice Chiara Carrer l’architetto Felice e sua moglie Safia/Sofia, il siciliano professore Christian che, sotto il falso nome Issa (Gesù in arabo!) si presta a fare da spia per i servizi segreti italiani alla ricerca di un complotto terroristico di matrice islamica, il capitano dei servizi segreti che lo ha ingaggiato, Giuda, e infine Akram, un barista/imprenditore/mediatore che si mostra, abbigliato come John Belushi, come il deus ex machina dei clandestini o dei disoccupati che arrivano nel quartiere in cerca di aiuto. Nel suo bar, dove è perennemente accesa un tv sintonizzata su Al Jazeera, si svolgono gli incontri che danno luogo al racconto.
La trama del romanzo è davvero ingegnosa e non può essere raccontata per non svelare l’imprevedibile finale; i protagonisti si trovano ad affrontare situazioni intricate che lo scrittore risolve in modo leggero, spesso esilarante, anche se si parla di razzismo, sfruttamento, violenza sulle donne, ingiustizie macroscopiche. Temi difficili come il terrorismo internazionale, il ruolo dei servizi segreti, la difficile convivenza tra stili di vita e convinzioni religiose diverse trovano una sintesi nella storia raccontata con ironia e leggerezza, mai con superficialità. Il rapporto di coppia tra l’architetto-pizzaiolo egiziano Felice, fervente musulmano e fedelissimo al Corano e ai suoi insegnamenti, e sua moglie, la bella Safia, per i romani Sofia, costretta dal marito ad indossare il velo, è un paradigma della volontà di maggior libertà delle donne islamiche a contatto con la civiltà occidentale. Sofia, madre di una bimba di appena quattro anni, mal sopporta le imposizioni del marito, che non ammette per lei la possibilità di un lavoro autonomo. Lei, però, fa la parrucchiera di nascosto e sogna per la figlia un futuro non minacciato dalla mutilazione dei genitali, a cui lei si era per caso sottratta in patria.
Particolarmente riuscito sul piano narrativo il tema che dà il titolo al libro: il divorzio all’islamica: il ripudio da parte dell’uomo, pronunciato tre volte, rende il divorzio definitivo. Ecco allora che Felice, pentito della terza ripulsa nei confronti di Safia, escogita un piano previsto dal Corano: potrà risposare la moglie solo dopo che lei avrà consumato il matrimonio con un altro… e l’altro sarà ovviamente il Marcello Matroianni arabo, di cui lei si è invaghita, che è ovviamente la spia Issa. L’espediente narrativo è divertente e rende la lettura del libro piacevolissima, anche per l’uso sapiente di diversi registri linguistici. Lakhous mette in bocca ai suoi personaggi differenti dialetti, diverse modalità comunicative ma tutte efficaci: il siciliano di Christian/Issa, l’arabo nelle sue diverse declinazioni (algerino, egiziano, tunisino), la pronuncia storpiata di chi malgrado sappia l’italiano lo parla in modo approssimativo, scambiando la b per la p…… Leggendo il romanzo apprendiamo molto sullo sfruttamento al nero di italiani che affittano letti a castello facendo vivere in pochissimi metri quadri decine di persone, di episodi continui di razzismo da parte di vecchi conservatori che pur avendo badanti extracomunitarie a cui devono la propria quotidiana sopravvivenza sognano roghi o respingimenti per gli stranieri, o da parte di energumeni violenti mai abbastanza sorvegliati e puniti. Tanti episodi della quotidiana cronaca cittadina, che qui però sono rivisti con la superiorità di una visione davvero interculturale, che vede limiti e difetti in tutte le culture in contrasto e le affronta con un’idea di condivisione e tolleranza reciproca che sarebbe davvero auspicabile per un futuro di civiltà, non più solo di scontro.
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