Errore nell'eseguire la query
Letture
La banalità dell'amore di Savyon Liebrecht
di Elisabetta Bolondi
Savyon Liebrecht ha già pubblicato diversi romanzi ambientati in Israele, dove vive dopo essersi allontanata dalla Germania nazista, ancora bambina. In questo libro invece, abbandona la narrativa e costruisce una pièce teatrale, in cui lascia aperta la scena finale: gli stessi lettori potranno scegliere tra tre diverse conclusioni.

Protagonisti sono due celebri personaggi della storia del Novecento, Hannah Arendt e Martin Heidegger, la cui passione amorosa travolgente e impossibile ha riempito pagine di libri, articoli, epistolari commentati, saggi: cito due testi che descrivono ampiamente l’atmosfera politico-culturale vissuta dalla celebre coppia di filosofi: "Amori e furori” di Laura Laurenzi (Rizzoli 2000) e “Hannah Arendt” di Julia Kristeva ( Donzelli 2005). La Liebrecht ambienta la commedia in due luoghi e in due tempi diversi: l’appartamento di New-York dove vive la quasi settantenne filosofa, reduce da un infarto, in procinto di essere intervistata da un giovane israeliano nel 1975, e la baita di montagna in Germania dove era nato l’amore tra la diciottenne studentessa del primo anno di filosofia all’Università di Friburgo, anno 1924, e il celebre maestro Martin Heideggger. I personaggi si muovono contemporaneamente sul palcoscenico, Hannah giovane interagisce con la sua versione anziana e, attraverso ricordi e flashback, viene ricostruito il difficile passato di entrambi i filosofi. Dopo un anno di passione totale, infatti, il maestro allontana la giovane amante perché sua moglie Elfride, feroce antisemita, sospetta la tresca. Intanto si avvicinano le ombre cupe del Nazionalsocialismo e la feroce campagna antisemita che si scatena in Germania. Heidegger si avvicina sempre più a Hitler, credendolo in grado di far risorgere il mito della grande cultura tedesca, mentre Hannah ben resto si unisce a gruppi di giovani comunisti ed è costretta a riparare in Francia. L’intervista che la Arendt dovrebbe concedere a Michel, il giovane che si è introdotto a casa sua con la scusa di intervistarla sul processo Eichmann, si rivela una trappola: in realtà l’uomo è il figlio del grande amico di giovinezza di Hannah, Raphael Mendelsohn, convinto che suo padre fosse stato arrestato e torturato dalla Gestapo per una delazione della stessa Arendt. Sarà difficile chiarire l’insensatezza di tale convinzione, ma Hannah ancora una volta dovrà fare i conti con il proprio doloroso passato,l’ambiguità in cui ha vissuto il rapporto con Heidegger, l’incomprensione di cui è stata vittima, l’infelicità nella quale ha vissuto. Quando Heidegger, ormai vecchio, gli chiederà di testimoniare per la sua denazificazione, lei non lo farà, pur avendolo amato perdutamente.

L’autrice condensa in poche pagine, pochissime scene, un finale aperto, una delle più intriganti e complesse pagine della storia che gravita intorno al tema della Shoah, con una capacità di sintesi, una stringatezza di toni che affascinano il lettore, ammirato dalla figura straordinaria della Arendt che esce dalle pagine del libro con una limpidezza davvero esemplare. La scelta narrativa del teatro conferisce alla vicenda un’immediatezza notevole che ne rende la lettura interessante e stimolante.

12-10-2010