Il successo tardivo che sta ottenendo la scrittrice catalana Mercè Rodoreda mi sembra del tutto giustificato, avendo apprezzato la scrittura raffinata, densa di riferimenti, colta ma estremamente godibile, che si trova leggendo il romanzo appena ripubblicato in Italia, 'Via delle camelie'
Nella Barcellona degli anni ’40 si svolge la storia narrata in prima persona dalla protagonista, Cecilia. "Mi lasciarono in via delle Camelie, vicino al cancello di un giardino, e il vigilante mi trovò la mattina dopo". La vita della trovatella, affidata ad una coppia di mezza età, il signor Jaume e la signora Magdalena scorre lentamente: la bambina è stravagante, isolata, ha come unica amica Paulina, la domestica dei vicini, e un ragazzo, Eusebi, che la osserva dal cancello. Appena superata l’adolescenza Cecilia, insofferente dell’atmosfera chiusa in cui è cresciuta, abbandona i genitori adottivi e fugge con Eusebi. Da quel momento la sua vita sarà una fuga ed una discesa sempre più profonda in un degrado fisico e morale: molti uomini violenti si succederanno nella Rambla dove fa la prostituta fino a che verrà ridotta in una sorta di schiavitù, ottenebrata dall’alcol e da sonniferi che la stanno portando alla morte. Verrà salvata da un anziano ammiratore della sua bellezza che l’ha seguita con lo sguardo da tempo e che riesce a tirarla fuori dal gorgo in cui è precipitata, non chiedendo nulla in cambio. La gratuità di questo gesto sembra restituire a Cecilia la speranza di una vita migliore e la riconcilia con il suo passato, proprio attraverso le parole di colui che, ormai vecchio, l’aveva trovata fuori di quel giardino tanto tempo prima, salvandola dalla morte.
Un libro pieno di poesia, malgrado l’argomento scabroso, pieno di profumi e di colori, una capacità descrittiva che l’autrice dimostra in ogni pagina, unita ad una rara sensibilità nell’affrontare temi difficili e spesso sgradevoli.
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